L’arte vietata, ma col biglietto

Sono stato al Museu de l’Art Prohibit.

Un intero edificio pieno di opere censurate, bandite, sequestrate.

Corpi nudi, crocifissi bruciati, simboli scomodi e icone dissacrate.

Didascalie indignate. Luci da galleria NFT.

E alla fine: il POS.

“Uh, turning rebellion into money” — cantavno i Clash.

Eccoli accontentati.

Ribellione sterilizzata, incorniciata, curata da esperti, impacchettata col QR.

Il biglietto costa 14,50€. L’indignazione è inclusa, ma non rimborsabile.

Il bello è che funziona.

La gente fa la fila.

Si commuove davanti a un pisello scolpito nel 1983.

Poi fa una pausa al bar del museo, che serve cappuccini di soia e ti dà la ricevuta.

Il proibito oggi è un modello di business e la censura è un’estetica.

Il dissenso è una strategia di posizionamento.

Mostra temporanea sulla libertà d’espressione, sponsorizzata da una banca.

Il mondo è perfetto.

Se lo guardi con gli occhi abbastanza chiusi.