L’ora legale e altri miracoli automatici
Come ogni ottobre mio padre si alza, sbadiglia, si guarda intorno come se avesse attraversato un fuso orario e dice la sua battuta rituale:
“Almeno l’ora legale è l’unica cosa legale rimasta in Italia.”
Una frase che contiene tutta la filosofia boomer:
cinismo da bar, autoassoluzione preventivae l’illusione che la battuta sostituisca l’analisi
Lo dice ridendo, certo.
Ma con lo stesso tono di chi ha parcheggiato in doppia fila per trent’anni e ora si scandalizza se qualcuno buca la ZTL con un monopattino.
È una generazione che ha fatto il pieno con la carta di credito della storia.
Ed è ancora convinta che l’estratto conto arriverà a qualcun altro.
L’ora legale scatta. Da sola. Con precisione svizzera.
Un evento di Stato che non richiede decreti, conferenze stampa, ne applausi in aula.
Forse per questo mio padre la celebra come un piccolo miracolo.
Come un sopravvissuto che accende la luce e dice:
“Guarda, funziona ancora qualcosa.”
E in un certo senso, ha ragione.
In Italia, ormai, l’ora legale è l’unica transizione ordinata rimasta.
Tutto il resto ha perso il libretto d’istruzioni nel ‘94.